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PRESENTAZIONE
Buonasera e benvenuti a
questa mostra di arte contemporanea – Pensiero e Forme per nuove
dimensioni - in cui sono esposte le opere di Vittoria Falcone,
Nino Oriolo e Gabriele Salve.
Stasera, qui, troverete
svelati i codici della terra, il ciclo dell’agave,
le forme e la loro sublimazione: tre modi di percepire il reale,
di trasfigurarlo e ricomporlo…
Il mio compito è quello
di introdurvi alla lettura di queste opere, dandovi qualche notizia
sugli autori.
In realtà, non voglio
soffermarmi molto sul curriculum-vitae di questi artisti, tutti e
tre già con un solido percorso di riconoscimenti e di studi (Liceo
Artistico, Accademia delle Belle Arti, Specializzazioni in pittura e
scenografia, etc.). Stasera voglio rispondere, essenzialmente, ad
una domanda che vi sarete posti entrando qui: “Come mai tre artisti
così diversi per percorsi esperienziali e per risultati espongono
insieme? La risposta, apparentemente, è molto semplice: per puro
caso e per amicizia: l’idea è nata dal frequentare lo stesso
ambiente di lavoro, da una lunga e ritrovata amicizia, dal desiderio
di condividere un breve percorso di vita e di crescita…
Ma nulla avviene per
caso, qualcosa di invisibile e impercettibile ha fatto si che tre
percorsi separati e diversi trovassero, qui, stasera, un unico
spazio di espressione.
Gli artisti, in genere,
sono sempre stati considerati come individui strani, isolati dal
mondo perché chiusi nella loro arte, gelosi della loro genialità e
originalità…ma spesso si dimentica che l’artista è un essere umano,
semplicemente un essere umano. Ciò che lo rende diverso e che ha più
occhi per vedere e un cuore grande per sentire… Le sue mani creano e
riproducono il miracolo che la natura ricrea ogni giorno,
cristallizzandone le forme, datandole e caricandole di un nuovo
valore: in realtà, è la vita stessa che si perpetua attraverso
l’opera dell’artista: è la conoscenza, il desiderio di entrare
nell’atto creativo per meglio comprenderlo penetrando intimamente
all’interno delle cose. L’artista è come un bambino che smonta il
suo giocattolo perché vuole “vedere” com’è fatto dentro… E questa
esplorazione, spesso deludente, lo porta a cercare e cercare
ancora, perché sa che quello che sta cercando non è nessuna cosa… Sa
che ha una forma, un colore, una dimensione, ma quale? Ecco allora
la ricerca perpetua che non appaga mai… Ogni forma è indagata con
ogni strumento e tecnica…
Nino Oriolo, infatti, ha
cominciato la sua ricerca addentrandosi nei meandri più profondi
della vita: ha riprodotto e disegnato con esperta perizia invisibili
intrecci di cordoni ombelicali, di ovuli e forme autoriproducentesi,
tutte disperse in universi sospesi di luce e di blu, fluttuanti come
la vita e l’essere che la possiede… E quando la sua ricerca sembrava
non trovar tregua si è rivolto a forme meno astratte cogliendo, con
gli scatti della sua inseparabile macchina fotografica, la realtà
così com’è riproducendo ciò che è sotto gli occhi di tutti: figure
umane, paesaggi brulli e sperduti, volti di bimbi imbronciati,
sabbia, terra… In tal modo ha riprodotto e ricreato tutto il suo
mondo: i paesi abbarbicati sulle rocce della sua infanzia, la vita
riflessa nelle pieghe delle rughe degli anziani seduti al tavolo di
un vecchio bar, la loro atavica sofferenza, la distesa infinita del
mare e del cielo…
Ma anche queste forme
vengono superate per dare spazio alla pura intuizione che le
trasforma, le moltiplica, le capovolge in un continuo atto creativo:
e così una corteccia diventa un malinconico elefante, un sasso, una
manciata di peperoni, un tramonto assumono nuova vita e nuove forme
capaci di far provare nuove emozioni e nuove suggestioni.
Anche qui l’artista è un
demiurgo: non crea, ma trasforma… Ancora una volta per conoscere,
consultare forme, immagini, numeri, lettere: codici cifrati che
racchiudono profondi segreti… ma i codici sono criptati, come i
codici della terra, ed ecco allora che le forme e i colori diventano
strumento di conoscenza reale, che ci sollevano dalla razionalità
per portarci in una realtà estetica dove solo l’intuizione,
l’emozione può far cogliere quello che resta il mistero di tutte le
cose… E’ la ricerca della vera essenza umana, delle risposte
esistenziali - che ogni uomo si pone e alle quali cerca di dare una
risposta - che si compenetra e diventa tutt’uno con la ricerca
artistica. Altrimenti, come può un pittore svegliarsi un giorno e
sentire d’improvviso che è attratto da nuovi materiali e nuove forme
e cominciare, così, -come è capitato a Vittoria- a lavorare il
ferro, materiale così acerbo, freddo e difficile da utilizzare… E
cosa ha spinto Vittoria Falcone ad accostare e a mescolare a questo
metallo primordiale le pietre del Giordano, il legno e l’argilla
della sua terra? Che cos’è tutto questo, se non l’intuizione
artistica, la creatività universale che ricerca un senso da dare
alla vita…? Cos’è questo se non la spinta dello stesso
inconoscibile, di quel sapere innegabile che ognuno di noi desidera
conoscere?
Lo conferma lo
stesso Gabriele Salve quando, cercando di spiegare le sue scelte
artistiche, afferma: “Voglio andare oltre
ciò che vedo, andare oltre ciò che sento, oltre ciò che penso”.
Ma a questo punto vi
potreste chiedere: una scultrice cos’ha da condividere con due
artisti così diversi tra loro? C’è forse differenza se un atto
creativo prende forma su una tela, su carta fotografica o se viene
forgiato nel ferro o scolpito sulla pietra?
Questi tre artisti hanno
in comune la stessa creatività che, come lava travolgente di un
vulcano, mescola idee, pensieri, immagini che si sovrappongono,
confondono e che si accavallano senza un ordine apparente.
Vittoria racconta che
anche quando riproduce sulla carta l’idea creativa che si è
affacciata impellente nella sua mente, poi, nella fase successiva,
quando le sue mani toccano i materiali -man mano che procede- quelle
forme percepite inizialmente diventano più vaghe e le sue mani
levigano, tagliano, aggiungono mosse da un’energia nuova che porta a
realizzare qualcosa che non rispecchia più perfettamente l’idea
progettuale di partenza…
Anche Salve mi
raccontava che quando ha la tela bianca davanti a sé non ha idea di
cosa verrà fuori, poi man mano - pennellata dopo pennellata,
spatolata dopo spatolata - dal caos nasce l’armonia e ogni forma
occupa lo spazio giusto e si colora di un’essenziale sobrietà.
Anche Nino Oriolo parte
da un indizio di realtà, quello che il comune occhio umano rifugge
di osservare - banale visione quotidiana - ma che la sua arte sa
trasformare, riplasmare, rilluminare e far nascere a nuova vita,
come un bruco che si trasforma in farfalla per vivere una nuova
esaltante esperienza.
Dunque, ciò che accomuna
questi tre artisti, a mio parere, è il loro fondersi con la natura e
passare dalla contemplazione alla creazione…
Vittoria Falcone usa
materiali naturali come il ferro, le pietre, il legno; Nino Oriolo
immortala le forme ataviche della natura con il suo obiettivo, così
come Gabriele Salve lo fa con le sue spatole e i suoi pennelli…Se
guardate attraverso le forme stilizzate delle loro opere coglierete
tanti aspetti naturali a voi familiari: è un continuo rimando di
forma in forma, di colore in colore… Del resto ne è cosciente lo
stesso Salve quando scrive “[…] esiste una invisibile relazione
tra le forme, queste in rapporto tra di loro si generano a vicenda”.
E’ proprio quest’arte
apparentemente astratta, con queste forme scultoree ancestrali,
sinuose -che ricordano e rimandano ad altre forme- e che
sprigionano una luce più intensa e folgorante, con queste linee
astratte e contorte che si ricreano l’un l’altra in forme sempre
nuove e ammalianti, che ci incanta e ci svela nuovi e più profondi
scorci dell’anima…
E già da molto tempo che
la pura riproduzione del reale non ci parla più, non ci racconta più
nulla di ciò che già sappiamo, incapace di restituirci l’essenza
delle cose attraverso l’emozione.
Ma basta guardare le
opere di questi nostri artisti, per cogliere il miracolo della
Natura, che si fa vita, colore, sensazione, stordimento: si potrebbe
guardare queste opere per ore e continuare a trovare qualcosa che ci
incatena, ci lega con lo sguardo, ci sfida a cogliere qualcosa di
ancora non colto e che appare là tra un chiaro scuro e un altro, tra
il riverbero e il luccichio di forme astratte e accartocciatesi
l’una nell’altra.
E’ proprio questo
restare ammaliati dal mistero dell’atto creativo che porta questi
nostri artisti a riprovarci ancora, a misurarsi con nuove forme,
nuovi materiali, nuovi colori… E’ un’arte sperimentale la loro… La
loro abilità tecnica, le loro conoscenze specifiche sono poste al
servizio del nuovo, della sperimentazione di nuove tecniche e nuove
forme… E’ per questo che Gabriele sperimenta l’utilizzo del colore
depositato nel fondo del bicchiere di petrolio dove pulisce i
pennelli: gli lascia il tempo per decantare e trasformarsi per poi
creare dei toni di verde e di indaco inusuali e del tutto originali…
Questi artisti, dunque,
non usano il ferro, la pietra, i pennelli, i colori, gli scatti
fotografici come strumenti ma come intuizioni, come mezzi che
diventano parte pregnante dell’opera e della sua realizzazione.
Ma ciò che infine
accomuna questi artisti è anche l’amore per la propria terra: c’è
tanta Lucania nelle loro opere, tutte le sfumature di un cielo e di
un mare da sempre senza speranza, tutte le terre arse delle lotte
contadine e le distese di papaveri e del giallo dei fiori di rapa, i
paesini aguzzi abbarbicati a monti scoscesi: tutti elementi vissuti
e rivissuti così profondamente nel loro animo da essere sempre
presenti nel loro percorso artistico e invisibilmente sottesi ad
ogni nuova creazione, ad ogni nuova opera…
C’è il cuore del Sud che
batte dentro queste opere, con tutto l’amore per la vita e per una
terra che dà vita…
Ciò che vi auguro
stasera è di guardare queste opere con occhi nuovi e di sentire
questo battito forte che risuona per la sala e che ci rinforza di
nuova linfa.
Grazie Vittoria, Grazie
Nino, Grazie Gabriele, per questa grande e meravigliosa emozione...
prof. Silvana Labate
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