I giovani meridionali continuano ad emigrare

 

 

Nel Mezzogiorno, sono tornate di moda le valige di cartone, e a confermarlo sono i numeri dei principali centri di statistica italiana. Nel corso degli ultimi anni sono stati oltre 630mila i giovani meridionali che hanno lasciato la propria terra nel tentativo di trovare un “posto al sole” nell’Italia più ricca e più “fertile” di lavoro: quella centro-nord. Vanno nelle regioni del nord-ovest, nel nord-est e del centro .Mentre soltanto una piccola percentuale di quanti emigrano, lo fanno rimanendo comunque fermi all’interno del perimetro dell’Italia meridionale. Del resto, non potrebbe essere che così, visto che — per quanto non uniforme in termini di sviluppo — il Mezzogiorno, in ogni caso, presenta dappertutto, anche se con maggiore o minore intensità, gli stessi problemi. Numeri che, senza ombra di dubbio alcuno, fanno pensare ad una vera e propria emigrazione di massa che ricorda, dal punto di vista quantitativo, quella degli anni ’50 e ’60, quando l’unica e sola opportunità di occupazione per i ragazzi del Sud era quella di trasferirsi al Nord. A muoversi, oggi come negli anni ’50, i giovani tra i 20 ed i 35 anni, delusi dalla lunga ed inutile attesa di un posto di lavoro, ma soprattutto dal cattivo funzionamento del mercato del lavoro nel Sud, sempre più condizionato ed ingessato dagli errori nelle scelte delle politiche regionali, in materia di occupazione e preoccupati di dover prima o poi, per sopravvivere, rifugiarsi nel “sommerso”, con tutti i rischi, i limiti e le inadeguatezze che contraddistinguono il mondo del lavoro “nero”, o peggio ancora di doversi arruolare fra le fila della criminalità organizzata. Se ne ricava, quindi, che la nuova emigrazione va letta ed analizzata, sulla base di una duplice chiave di lettura. La prima rappresentata dal fatto che i ” fuggenti “, vogliono assicurarsi uno stipendio, senza dover dipendere eternamente dai genitori e la seconda dal loro “no” convinto ad una classe dirigente che non stimano, ritenendola, da un lato, vittima e, dall’altro, essa stessa portatrice di interessi “particolari”, spesso in conflitto con quelli generali.

Sicché, se ne vanno alla ricerca di una società meno politicizzata e più aperta, dove i meriti siano garantiti e difesi dall’attacco spietato del clientelismo; più trasparente negli obiettivi e meno corrotta nelle scelte; più sicura e meno violenta; dove il riconoscimento di un proprio diritto, sia evento di ordinaria quotidianità e non una “gentile concessione” del “politico” di turno. Ciò che, però, differenzia l’emigrazione “anni duemila” da quella dell’immediato dopoguerra è la qualità di quanti intraprendono quello che una volta era definito come “il cammino della speranza”. A muoversi, infatti, non sono più i “senza arte né parte”, i manovali o quelli privi di qualsiasi specializzazione e, proprio per questo, senza prospettive, ma sono i lavoratori qualificati, i diplomati ed i laureati. Giovani, quindi, che hanno acquisito una specificità, hanno studiato e, pertanto, possono mettere in gioco professionalità e preparazione. Per conseguenza, sarebbero potenzialmente in grado di aspirare alla conquista di un ruolo di prestigio nel contesto della società contemporanea. Un’aspirazione decisamente difficile da soddisfare soprattutto qui in Basilicata, dove certe prospettive — almeno per il momento — sono praticamente nulle.

Tutto questo, se, da un lato, rappresenta un grosso vantaggio per il Sud che vede, così, ridursi in misura consistente il proprio tasso di disoccupazione ; dall’altro, nasconde due rischi enormi e, a ben vedere, decisamente più preoccupanti del vantaggio che ne deriva. Il primo rappresentato dal fatto che interagendo con la notevole diminuzione della natalità sta producendo una grossa contrazione del numero dei residenti nel Mezzogiorno, al punto che l’incidenza dei residenti nel Sud sul totale della popolazione italiana oggi si è ridimensionata. Il secondo, ancor più pesante se letto in prospettiva futura, è che continua — anzi, si accentua — la fuga dei cervelli dal Mezzogiorno verso l’Italia settentrionale. Cosa che, nel mentre arricchisce quest’ultima, impoverisce ulteriormente il Sud di potenzialità e professionalità, che potrebbero, se ben utilizzate, dare un contributo notevole allo sviluppo del meridione. Ed il peggio è che siamo di fronte ad una situazione che, in verità, non dà segni di volersi arrestare. Tant’è che, altre diverse migliaia di giovani meridionali si stanno preparando a seguire lo stesso percorso.

 

 

 

 

 

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